La Roma continua la sua marcia. Ma terrà sul piano Atletico? A cura di Angelo Spada

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Analisi tattica del derby con un occhio sulle prospettive futuro dei giallorossi

Se c’è un’evidenza innegabile è che il mercato estivo
della Roma, a causa di infortuni vari, sia finora riassumibile in un nome solo:
Kolarov. Per cui, per quanto prezioso si stia rivelando il contributo del
serbo, sia sul piano squisitamente tecnico ché per il bagaglio di esperienza
che si porta appresso, tutto quanto di buono, e di meglio, sta facendo la
squadra giallorossa rispetto allo scorso anno ha, innegabilmente, un solo
artefice: Eusebio Di Francesco.
Si sente dire spesso, anche da presunti esperti di
calcio, che l’allenatore non conta più del 20-25%.
E’ una idea assurda. Il povero Ventura pur di
dimostrare che è sbagliata si è immolato riuscendo a far eliminare una buona
squadra da un gruppo di giganti coi piedi a forma di ferri da stiro. Non credete
che l’allenatore conti tantissimo? State a vedere che riesco a fare.
Il derby di Sabto scorso è la partita in cui il lavoro
del tecnico abruzzese si è materializzato così tanto chiaramente da potersi
toccare con mano.
Pressing alto, studiato, ponderato e calibrato nel
tempo e negli uomini in modo così impeccabile da togliere ad Inzaghi ed ai suoi
la sola arma a disposizione: le ripartenze veloci.
A volerlo schematizzare nelle parti più evidenti
pressappoco così: El Shaarawy a uomo su Radu, Dzeko su De Vrij, Perotti e
Strootman ad aggredire Bastos, unico a cui si lasciava prendere palla per
impostare l’azione.
Di conseguenza la difesa biancazzurra era sistematicamente
costretta a scegliere tra il classico lancione (su cui Fazio e Manolas avevano
vita facile) e il giocare la palla, in inferiorità numerica, al limite
dell’area col rischio concreto di perderla.
La chiave del successo della Roma è tutta qui.
Certo c’è anche una superiorità tecnica abbastanza
evidente, la presenza di un extraterrestre come Nainggolan, la grazia mista a infinita
sostanza di Perotti, il sacrificio di El Shaarawy Strootman e Dzeko, il modo
quasi distaccato con cui Kolarov giganteggia sulla propria fascia, ma la chiave
di tutto è l’unità di intenti e la sua traduzione pratica in una applicazione
ossessiva, costante e, soprattutto, collettiva.
C’è un’idea tattica, una guida tecnica ed un gruppo
che si sacrifica per il conseguimento del risultato, non per un facilmente
dissolvibile  spirito di corpo ma perché,
e questo ormai è evidente e confortante, convinto della bontà del mezzo scelto
per il conseguimento dello scopo finale. DI Francesco ha conquistato i suoi
ragazzi dimostrando loro che il suo calcio porta risultati.
In più, questa Roma, a differenza di quasi tutte le
altre che io ricordi, è salda mentalmente.
Non si sfalda dopo il 2-1 di Immobile, continua a
giocare e resiste. La rimonta di Cagliari, che a conti fatti costò lo scudetto
2016-2017, oggi sembra irripetibile.
Adesso  la
classifica sorride, anche tenendo conto della sfida in meno rispetto a Napoli ed
Inter; certo sarà il temibilissimo match in casa della più bella Sampdoria
degli ultimi anni, ma sono comunque altri tre punti potenziali.
Adesso inizia, per la Roma,  la sfida più grande: quella della continuità
di risultati. Inutile dirsi che non è la specialità della casa, i giallorossi non
rispettano i pronostici con la necessaria continuità  dall’anno dello scudetto, il lontanissimo
2001.
Scalare le montagne significa anche non mollare di un
centimetro fino in fondo, prendersi pause troppo lunghe blocca i muscoli,
risalire si fa impossibile. Tenere costante l’andatura, alternare il capo
cordata, dosare le forze coinvolgendo tutti è fondamentale.
Già mercoledì c’è un altro picco insidioso da aggirare,
si va a Madrid nella nuova tana dell’Atletico, animale ferito e pressoché  disperato, che proverà con ferocia a frenare
la marcia della carovana romanista.
Non nascondo di provare una curiosità di vedere come
andrà a finire, curiosità impastata di paura ma anche di ottimismo; perché tanti
segnali dicono che Di Francesco abbia trasmesso ai suoi la chiave del successo:
tutti insieme, nel modo concordato, con grande determinazione ma anche senza
frenesie, in tranquillità. Direbbe Nietzsche:”
Quanto manca alla vettà?
Tu sali e non pensarci.”


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