Una Juve accorta, ordinata, che gestisce bene il possesso palla e amministra il vantaggio dell’uomo in più: questo quello che abbiamo visto ieri sera nella sfida di andata degli ottavi di finale di Champions League tra Porto e Juventus.
Un match che ha indubbiamente cambiato impostazione con l’espulsione di Telles, questo è vero: ma, paradossalmente parlando, il 4-4-1 schierato in campo da Nuno Espírito Santo dopo il rosso all’ex Inter stava quasi per far ancor più male alla squadra di Allegri che, da lì in poi, si è trovata davanti una vera e propria roccaforte da espugnare.
Qui è entrata in gioco la componente Allegriana di maggior fattura: la pazienza. La Juve dimostra di averne molta: 77% di possesso palla è la prova lampante, i bianconeri uccidono il gioco e manifestano una chiara voglia di aspettare l’occasione giusta, senza gettarsi all’avventura sfrenata e spropositata.
L’occasione però tarda ad arrivare, l’attendismo comincia a far intravedere le sue prime piaghe: Allegri medita un cambio, Pjaca per Cuadrado. Il croato è sul pezzo ed entra bene: duetta con Dybala(da ringraziare anche la difesa portoghese) e con un preciso missile terra-aria punisce Casillas.
Non basta però: un gol è poco. Bisognerebbe sfruttare ancor di più la superiorità dimostrata in quasi tutta la partita. C’è da pensare anche alla gara di ritorno, un po’ più di tranquillità di certo non dispiacerebbe: per questo Allegri si gioca la carta Dani Alves, e azzecca anche questa: l’ex Barca fa un gol da predatore d’area, stoppando di petto e scavalcando Casillas per la seconda volta.
Si può azzardare, senza risultare troppo menagrami, che i quarti di finale sono più vicini: abbiamo sfruttato a nostro piacimento l’espressione petrarchesca del “riposato porto“, e forse non rischiamo così tanto. Se per il poeta aretino, però, la tranquillità era pura illusione, per i bianconeri ha sempre più il sapore di effettiva realtà: i numeri dello Stadium sono pazzeschi, difficile pensare a qualcosa di diverso. Il ferro però, se potete, conviene toccarlo lo stesso.
A cura di
Carlo Recanati
……………………………………………………………