E’ un Ciro Immobile schietto ed aperto quello che si è raccontato a RivistaUndici, parlando a 360° della sua esperienza dentro e fuori dal campo sino a questo momento.
A cominciare, inevitabilmente, dal periodo d’oro di Pescara: “Zeman mi ha insegnato i movimenti giusti; quando il centrocampista ha la palla orientativamente puoi farti un’idea di dove potresti correre. Importante è anche la coordinazione: devi capire dove correre e come concludere, e lo devi fare il più velocemente possibile. Mi è servita molto anche l’esperienza fatta al Genoa, e poi è arrivato il Torino.. Anche lì ho vissuto momenti difficili: nelle 7 partite in cui non facevo gol si diceva che non fossi pronto per la Serie A, che ero diventato capocannoniere in B solo perchè c’era Zeman.”
Un’altra situazione che avrebbe potuto abbattere Immobile è stata proprio l’estate post promozione con il Pescara: “non ho capito perchè dopo quell’annata Verratti andò al Paris Saint-Germain, Insigne al Napoli ed io invece sono andato al Genoa..” Ma Ciro, partenopeo purosangue, non è di certo un tipo che si piange addosso: “alla fine tutto gira, tutto cambia. Quando non giochi è difficile, ti abbatte; ma io non sono uno che si butta giù facilmente!” Non c’è riuscito neppure la deludente parentesi in Germania: “Klopp mi ha insegnato che non si molla mai; Tuchel mi parlava in tedesco, e io gli dissi che non lo capivo. Lì si rese conto che ero in difficoltà.”
Chiusura con dedica agli anni dell’infanzia, quelli che hanno forgiato nel carattere Ciro Immobile da Torre Annunziata: “non era il periodo di internet, giocavamo dappertutto, anche dove passavano le macchine! A 4 anni mi iscrissi alla scuola calcio: non volevo mai saltare un allenamento, nemmeno con la febbre. Una volta, addirittura, mi smarcai da un avversario passandogli sotto le gambe; ho buttato la palla di lato e siccome stavo inciampando gli sono passato sotto, continuando a correre. Merito di mamma: è grazie a lei se non mi fermo mai!”
A cura di
Giuseppe Tridente
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