febbraio scorso allo stadio Adriatico nella partita che segnò la fine
dell’avventura di Ivan Juric alla
guida del Grifone, gli 11 di Andrea
Mandorlini, colpevole di aver completamente azzerato un gioco che già
latitava, mettono in scena un’altra prestazione scialba e abulica, propria di
un gruppo oramai scarico e svogliato, in grado di trasformare il Ferraris, un tempo arena temibile e
infuocata per chiunque si presentasse da avversario, in terra di conquista.
tribune dello stadio genovese, di Enrico
Preziosi, il Joker, da due mesi
calamita di tutte le proteste dell’ ACG e delle contestazioni della tifoseria
genoana. Indubbie, pesantissime e reiterate le colpe del presidente irpino che
ha dimostrato una macabra capacità di smontare e rimontare la propria squadra quasi
fosse un giocattolo. Ma mettendo da
parte il fattore mercato che anziché portare rinforzi ha solo creato
scompiglio, il Genoa ha perso, e
l’umiliante sconfitta contro la Dea ne è solo l’ultima dimostrazione, insieme
alla sua componente mentale, anche quella che fisica.
L’Atalanta, di due spanne superiore
rispetto al Grifone, porta i rossoblù ad assumere un atteggiamento improduttivo
e abbastanza sterile; il gioco, o perlomeno il pressing, rimane un miraggio
dalle parti del Ferraris e ci si accontenta di aspettare la giocata
dell’avversario. Fino a quando la Dea è imprecisa il Genoa è tenuto in vita
grazie alla fisicità e l’irruenza di alcuni suoi giocatori, primo fra tutti Ntcham il cui compito è quello di
tallonare Franck Kessié fino alla
sua trequarti, e proprio da un recupero del francese sull’ivoriano nasce una
delle due occasioni da rete create dal
Genoa nel corso dell’intero match.
con una rovesciata in stile calciatori
Panini. Gli orobici cambiano marcia e chi si aspettava una reazione
d’orgoglio da parte dei padroni di casa è, come da prassi, scontentato.
Classico effetto dinamitardo sulla partita e Genoa che comincia a regalare palloni ai centrocampisti atalantini.
Le ripartenze che dovrebbero essere uno dei fondamentali del gioco trincerato
dei liguri non vengono mai attuate, non esiste uno smistatore di palloni (Izzo può dare quantità ma non è né Veloso
né Rigoni, sulla cui posizione si
avrebbe qualcosa da ridire) e l’unica giocata possibile ed in effetti attuata è
quella del lancio lungo dalla difesa verso i due attaccanti ingabbiati. Il
risultato di un simile atteggiamento è quello di una frustrazione generale,
che è palpabile, il che è un invito a nozze per gli ospiti che nel frattempo si
rinvigoriscono. Il Papu Gomez, che fino al 25esimo era stato ammansito dal pacchetto
difensivo argentino del Genoa, riacquista con il passare dei minuti confidenza
con il campo; le fasce diventano proprietà privata dei campioncini neroazzurri Conti e Spinazzola; Ntcham
allenta la sua morsa su Kessié che
spesso e volentieri semina il panico sulla trequarti avversaria. Burdisso e compagni si trovano ad
affrontare nell’uno contro uno giocatori che per morale e soprattutto
atleticità meritano il salotto della top 5 del campionato, e tra Kurtic che ingaggia un duello personale
con Rubinho, Freuler sempre presente tra le linee e Petagna inamovibile in area di rigore, il Genoa affonda tra i colpi degli avversari e i fischi impietosi del proprio pubblico.
soluzioni agli incontri che si mettono in salita, la squadra viene accusata di
non praticare più il gioco del calcio. Impaurita ed in completa balìa degli
avversari, vanta uno dei baricentri più bassi del campionato ed una dipendenza
eccessiva dal suo attaccante Giovanni
Simeone che non ha ricevuto nemmeno un cross dalle fasce. Dalle parti del
Ferraris non si respirava un’aria così pesante dal 2012 e non è bastato il
cambio d’allenatore per infondere fiducia ed energia ai giocatori che, come
tutta la piazza rossoblù aspettano impazientemente il 28 di maggio.
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